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Curare è uno stato di coscienza

Il terapeuta non dovrebbe neppure essere sfiorato dall'idea di dover dare dimostrazioni.

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In Egitto e presso la fratellanza Essena, gli aspiranti terapeuti non venivano reclutati fra chi dava prova di saper assorbire puramente e semplicemente una conoscenza; erano tenuti sotto osservazione per lunghi mesi, a volte per anni, per assicurarsi che fossero dotati di un'umanità profonda, e della capacità di manifestarla.


Le capacità di ascolto e il carisma erano le prime qualità di cui andavano in cerca gli insegnanti incaricati di scegliere gli allievi e formarli. La qualità del terapeuta viene, in primo luogo, da uno stato di coscienza. Scrivendo queste parole mi rendo conto che sembrano scontate, ma per esperienza so anche che certe cose che si danno per scontate sono ormai talmente banalizzate che è ben ricordarle.


Quando parliamo di stato di coscienza, per definizione ci poniamo al di là dello stato d'animo, ovvero al di là delle possibili fluttuazioni di umore, delle emozioni e quindi delle incertezze della vita personale.


Da questo punto di vista per coscienza qui s'intende il diamante assoluto della nostra Coscienza, ciò che gli orientali chiamano Atma. Si tratta dell'Essenza dell'essere, di Ciò che, in noi, non può venire né sporcato né ferito. Parliamo della parte più immacolata e più potente di noi, di quella che, per natura, in stretto e permanente contatto con la Realtà divina.

È con questo spazio aperto sull'Infinito che il santuario terapeutico cercherà di metterci in sintonia.


Con tale orientamento interiore, le cure dispensate non saranno dunque mai un "fatto egoico" del terapeuta; egli si limiterà a fungere da intermediario fra le dimensioni del Sottile e il piano dell'esistenza terrena.


Ciò significa che la guarigione non è qualcosa di sua proprietà, non ne fa una sfida personale perché non è in guerra con nulla; non combatte, ma cerca invece di pacificare, di riallacciare connessioni interrotte, di ricostruire ponti attraverso i quali nuovamente le correnti vitali potranno svolgere il proprio ruolo.

Sul frontone di certe Case della Vita egizie, si poteva leggere questa iscrizione: Offriamo ciò che siamo. Questo sottintendeva una ricerca perenne della trasparenza, e anche che quella certa luce foriera di guarigione si sarebbe diffusa attraverso il terapeuta solo se questi si fosse mantenuto fluido. Possiamo dedurne che l'intensità di una terapia energetica è proporzionale all'umiltà, nel senso nobile del termine, con cui la terapia è dispensata.


Analogamente, la padronanza dell'arte terapeutica da parte di certi esseni risultava prima di tutto dal loro essere al Servizio, uno stato incompatibile anche solo con l'idea di dominare una vibrazione. In realtà, la vera "padronanza" è radicalmente estranea al concetto di dominazione. Dominare significa piegare, mentre essere padroni di qualcosa significa entrare in una comprensione intima e globale ed elevarsi abbastanza per raggiungere lo scopo voluto.


Ricordo di un aneddoto che si raccontava sulla personalità del Maestro Gesù, che, come ormai è noto, proveniva direttamente dalla comunità essena della Palestina.

Lo avevano chiamato al capezzale di una donna che, da molti giorni, soffriva di terribili dolori addominali. Pregato di intervenire, Gesù aveva semplicemente posato le mani sul ventre malato, e poi se n'era andato. Quella stessa sera si era informato dello stato della donna che aveva curato. «Cammina di nuovo, perché non ha più male — gli risposero. — Ma alcuni dicono che è stato per il decotto che ha bevuto poco prima del tuo intervento..». «E allora?», disse il Maestro, mentre il discepolo lo guardava interdetto, di fronte a tanto distacco. «E allo-ra? — riprese una seconda volta, con tono piuttosto divertito. - Non mi hai forse detto che era guarita? Per me è sufficiente...»


Questo aneddoto, da solo, illustra bene un livello di coscienza che merita una riflessione. Oggi viviamo in una società in cui veniamo educati automaticamente a dover dare continue dimostrazioni del nostro valore e del nostro successo. La nozione di prestazione è così onnipresente che sta diventando pian piano un veleno per l'anima e per il corpo.


È evidentemente legittimo che un terapeuta operi con la speranza di avere successo, e non sarebbe neanche coerente che si estraniasse da tutto, esibendo un profilo eccessivamente basso: la estraniasse da tutto, esibendo un profilo eccessivamente basso: la falsa umiltà è certamente un ostacolo quanto l'essere pretenziosi.

Ciò che questo aneddoto ci insegna, è la futilità della rivendicazione: nulla e nessuno dovrebbe essere combattuto quando si tratta della salute di un essere umano: che sia stato questo o quel metodo a venire a capo della sofferenza, poco importa ad un vero terapeuta sul piano strettamente personale: la sua soddisfazione nasce innanzitutto dal fatto che la persona che ha curato (che non è un "suo" paziente) stia meglio... In questo campo, non ci sono coppe da vincere!


 
 
 

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Ph. Gabriella Vitale

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